Trionfo e amarezza di due quarti posti olimpici
Non svegliatela dal sogno perché le manca ancora una gara, ma Arianna Fontana è entrata dalla porta principale nella leggenda dello sport italiano vincendo la sua terza medaglia olimpica nello short-track. La staffetta azzurra ha infatti conquistato la terza posizione nella finale di Sochi nel modo più rocambolesco e per questo più bello possibile. Un trionfo che vale tantissimo perché permette alla squadra italiana di superare le 5 medaglie vinte nei precedenti Giochi di Vancouver e, soprattutto, di arrivare a 100 medaglie olimpiche nella storia della compagine azzurra. Eppure al traguardo le quattro valtellinesi avevano ottenuto l’ennesima delusione del soggiorno russo, giungendo quarte (la cosiddetta medaglia di legno) alle spalle delle coreane, delle cinesi e delle canadesi. Ma la Cina veniva squalificata per una scorrettezza commessa nei confronti delle coreane e così Marina Valcepina, Elena Viviani, Lucia Peretti e Arianna Fontana potevano celebrare l’ennesimo trionfo nel pattinaggio di velocità. Curioso notare come l’unico errore fatto dalle quattro lombarde durante la prova sia stato causato dalla plurimedagliata Fontana, caduta al momento del cambio con la Peretti; ciò evidenzia la grande crescita delle altre tre atlete azzurre, capaci comunque di sopperire alla piccola imperfezione della loro leader. Bellissime le parole pronunciate alla fine della gara dall’eroina azzurra di questi Giochi: «È fantastico condividere questo successo con le altre ragazze. Siamo un gruppo unito, siamo cresciute insieme e ora possiamo godercela». Gruppo giovanissimo (22 anni di età media) che guarda con grandi speranze al futuro, un po’ come successe ad Arianna dopo Torino 2006, anche grazie al duro lavoro d’allenamento imposto dai due tecnici Kenan Gouadec e Eric Bedard, eccezionali nel lavoro sul ghiaccio ma anche in grado di creare un nucleo di atlete davvero compatto. Perché se è vero che nello short-track può succedere di tutto, è anche vero che la preparazione e il lavoro mentale sono di fondamentale importanza.
Chi di medaglia di legno ferisce di medaglia di legno perisce. Sì, perché se le azzurre della staffetta hanno ottenuto il massimo dal loro quarto posto, grazie ad errori altrui, non si può dire lo stesso per Nadia Fanchini. Sfortunatissima la 27enne di Lovere che si è ritrovata ai piedi del podio del Gigante femminile dopo due manches praticamente condotte benissimo. La prima ha visto la Fanchini classificarsi terza (con il tempo di 1’18’’53) alle spalle della svedese Lindell Vikarby e della campionissima slovena Tina Maze. La seconda parte della gara è stata fatale per Nadia che, pur non sbagliando praticamente nulla, non ha mai forzato risultando al traguardo staccata di soli 38 centesimi dal bronzo, conquistato dalla tedesca Viktoria Rebensburg (oro olimpico a Vancouver). L’oro se lo è aggiudicato la Maze, al termine di una dura lotta contro l’austriaca Anna Fenninger, grande protagonista di questi Giochi. Tra le altre lombarde in gara, grande spavento per Federica Brignone, che, caduta nella prima manche, si è procurata un trauma contusivo-distorsivo al ginocchio destro senza causare ulteriori lesioni. Le lacrime di amarezza della Fanchini, che si sommano al rammarico per il quarto posto ottenuto dalla Merighetti nella discesa libera, documentano sicuramente la grande sfortuna delle sciatrici italiane in Russia, ma anche la capacità da parte delle atlete lombarde di essere sempre pronte e presenti quando si tratta di competere per qualcosa di importante.