Intervista a Roberto Galia, Gianluca Zambrotta e Daniele Gilardoni
Durante la manifestazione, organizzata in occasione della Giornata Mondiale contro il razzismo, presso il Lido di Milano da Comunità Nuova per il progetto “Io tifo positivo”, abbiamo intervistato tre grandi campioni del passato, che hanno partecipato agli incontri tenutisi tra le personalità legate allo sport e gli studenti delle scuole medie di Milano, all’interno dell’evento “Tweet off racism”.
Roberto Galia, ex terzino e mediano della Juventus di inizi anni ‘90, ci ha tenuto a sottolineare l’importanza di manifestazioni di questo genere: «penso che siano importanti giornate dello sport dedicate al razzismo perché alcuni personaggi, resi famosi dai successi sportivi, possono far capire la centralità di certe questioni. È fondamentale, a mio modo di vedere, mostrare ai giovani che saranno il nostro futuro, di avere più rispetto per le persone di colore»; per poter riuscire in questo Galia riconosce un ruolo chiave alle famiglie affinchè «diano indicazioni positive ai propri figli». In seguito aggiunge che «a volte le televisioni amplificano dei semplici episodi: succede così che si confondano degli sfottò contro una squadra avversaria, fatti da alcuni tifosi, con delle accuse di razzismo. Il razzismo c’è, ma bisogna stare attenti a non confonderlo con altro; ritengo che bisogni insegnare un modo di tifare differente, che parta dal rispetto della persona». Infine chiediamo a Galia il modo migliore per debellare il razzismo, ci dice che «è fondamentale educare le famiglie e i figli. Anche se nella mia vita di calciatore e di responsabile del settore giovanile non mi sono mai imbattuto direttamente in episodi di razzismo, capita che i figli siano ulteriormente osannati e difesi dai genitori. Giornate del genere hanno un peso fondamentale nel far intendere che spesso bisogna pensare prima di agire».
In seguito incontriamo Gianluca Zambrotta, campione del mondo nel 2006, tra i migliori interpreti a livello internazionale del ruolo di terzino e oggi allenatore del Chiasso. Anch’egli evidenzia l’importanza di un evento del genere, «il cui slogan potrebbe essere “un calcio al razzismo”, perchè è un messaggio a 360° che parte dalla certezza che tutte le persone sono uguali e nessuno è diverso. Ritengo sia importante comunicare questo messaggio ai giovani, ma anche ai meno giovani perché è giusto fargli comprendere che il loro ruolo di educatori è fondamentale come esempio e come mezzo per far passare un messaggio positivo». Poi ci racconta il suo pensiero su come andrebbe debellato il razzismo: «è chiaro che se, andando a vedere una partita, sento i classici “buu” contro giocatori di colore, le istituzioni hanno il dovere di chiudere parte dei settori dello stadio. In questo modo mandano un messaggio duro e concreto per combattere il razzismo. Lo sfottò è comprensibile, ma il “buu” è un chiaro messaggio razzista».
Da ultimo ci dice la sua opinione sul razzismo anche Daniele Gilardoni, ben 11 volte campione del mondo di canottaggio; anche Daniele conferma che il fenomeno nello sport purtroppo esiste, ma ci tiene a ricordare che «lo sport può sconfiggerlo, ed in tal senso fondamentale è il contributo che possono dare gli sportivi e coloro che vengono stimati come idoli dalla gente. Eventi, come quello organizzato da Comunità Nuova, sono importanti perché sono sempre una cosa buona, in quanto si propongono di combattere un aspetto negativo della società. Il Comitato Regionale CONI Lombardia tiene molto a queste iniziative, e per questo motivo ha voluto la partecipazione di atleti di alto livello, soprattutto del mondo del calcio che è l’ambiente dove il razzismo è più presente (oltre a Zambrotta e Galia, erano presenti Damiano Tommasi e Pietro Vierchowod). I bambini hanno reagito bene ai discorsi, anche perché hanno sentito parlare dei campioni». Molto interessante quello che Gilardoni sottolinea in seguito quando ci dice che «purtroppo in alcuni paesi manca la cultura sportiva, e ciò a volte fa nascere alcuni episodi legati al razzismo. È proprio l’assenza di una cultura sportiva che genera episodi gravi, essi non vanno combattuti con la violenza ma bensì con le parole che spesso incidono maggiormente». Da ultimo il campione di canottaggio ci racconta come nel “suo” sport ci sia «una cultura sportiva che nasce dentro di te già da piccolino, in quanto da agonista vedi si lo sport come confronto per battere altre persone, ma una volta terminata la gara si resta amici. È bello che il senso di unione e di amicizia continui negli anni e non finisca con il termine dell’attività agonistica, questo clima infatti contribuisce a far nascere dei sintomi positivi che portano ad andare contro il razzismo. Alla fine siamo tutti uguali e ci dobbiamo scontrare “solo” sui campi di gara».