Intervista a Pierangelo Santelli su Sochi e sullo Sport Paralimpico
Si è aperta venerdì a Sochi l’undicesima edizione dei Giochi Paralimpici Invernali, manifestazione che vedrà coinvolti più di 500 atleti di 47 differenti paesi, che si sfideranno in 5 discipline (ice sledge hockey, sci alpino, sci nordico, curling e snowboard) per raggiungere 72 medaglie. L’Italia ha portato in Russia 34 atleti (30 uomini e 4 donne) e presenzierà in 4 discipline, curling escluso, per cercare di confermare i risultati avuti quattro anni fa a Vancouver, quando le medaglie raggiunte furono 7 (1 oro, 3 argenti e 3 bronzi).
Abbiamo chiesto a Pierangelo Santelli, presidente del Comitato Paralimpico Lombardo, di fornirci una panoramica sullo sport paralimpico italiano e a livello internazionale. Immediatamente il presidente ci ha tenuto ad evidenziare come seppur «a livello mondiale la crescita dello sport paralimpico sia avvenuta in modo esponenziale, purtroppo ciò non si può dire del movimento italiano che fatica a espandersi, a causa soprattutto degli esigui contributi stanziati in confronto al numero degli atleti praticanti». Santelli ha continuato dicendo che «l’incremento a livello internazionale è stato notevolissimo, se si pensa che alle prime paralimpiadi tenutesi a Roma nel 1960 parteciparono 23 paesi, e a Londra nel 2012 se ne contavano 164: mi sembra che si possa ritenere un successo incredibile». I numeri estremamente positivi sono legati alle paralimpiadi estive, mentre «quelle invernali vanno più a rilento perché le discipline sono meno. Pancalli recentemente ha sottolineato come in Italia le strutture non siano adeguate per permettere ad un disabile di svolgere attività sportiva; ad esempio a Milano abbiamo una società che fa sci ma per poter essere indipendenti i ragazzi che vogliono sciare vanno in Svizzera».
Passando a Sochi, chiediamo al presidente Santelli quale siano le possibilità della squadra azzurra a livello di prestazioni, ci dice che sarà «difficile raggiungere le 7 medaglie di Vancouver e le 8 di Torino del 2006, anche perché il movimento ha moltissime difficoltà di crescita. Se si pensa che, a livello di attività olimpiche, circa il 20% della popolazione pratica attività sportiva, mentre gli atleti disabili non sono più dell’1,8%, si può facilmente cogliere la gravità della situazione; il motivo è legato al fatto che la spesa per far fare attività sportiva ad un ragazzo disabile è notevole. Ad esempio il monosci costa una cifra esorbitante tra attrezzatura e strutture. Una persona normodotata che vuole fare sci costa alla famiglia 10/15 mila euro l’anno, per una persona disabile la spesa va raddoppiata: se le cifre sono queste diventa tutto più complicato».
Anche nel fare una previsione sui Giochi, Santelli non trascura le differenze tra l’Italia e le altre Nazioni a livello di strutture a disposizione: «Enzo Masiello nel biathlon è tra i favoriti, e anche la squadra di hockey, se ha un po’ di fortuna, può lottare con le big, visto che è campione d’Europa e ha appena battuto la Svezia in un test di preparazione. Purtroppo anche in questa disciplina è evidente il gap notevolissimo tra noi, il Canada, gli Stati Uniti e la Russia. In Russia gli atleti della nazionale di hockey paralimpico sono tutti professionisti e stipendiati e vengono messi nelle condizioni di allenarsi 6 giorni su 7 la settimana 3 o 4 ore al giorno. Un gap così è difficilmente colmabile».
Da ultimo chiediamo al presidente che aspettative ha a livello di sviluppo del movimento dopo questa manifestazione. Ci risponde così: «speravo di avere una spinta notevole dopo Londra vista la grande visibilità che abbiamo dato in Italia, con ben 7 canali aperti solo sulle paralimpiadi. In realtà, tornato in Italia, questo grande riscontro non l’abbiamo mai avuto e per questo non sono così ottimista su Sochi, anche perché in Russia abbiamo una comitiva ridotta». Infine dove, secondo lui, può essere il problema rispetto allo sport paralimpico: «a mio modo di vedere la nostra nazione deve muoversi diversamente: le istituzioni regionali dovrebbero sostenere sia noi che il CONI; non facendolo si crea danno al movimento sportivo olimpico e paralimpico. Ciò non ci permette di avere una sensibilità legata alle attività sportive per disabili, perché lo Stato non coglie l’importanza che lo sport può avere anche a livello di sanità. A volte purtroppo mi pare una battaglia persa».
Proprio per diffondere la cultura sportiva e fare azione di informazione sul tema della disabilità nello sport, il CIP Lombardia collabora con la Scuola regionale dello sport CONI Lombardia nell’organizzazione di corsi di formazione sul tema. Il prossimo partirà a Pavia il 29 marzo 2014.